Leonardo

Fascicolo 13


La leggenda greca
di Giuliano il Sofista (Giuseppe Prezzolini)
pp. 26-27


p. 26


p. 27



I.

   I ventitrè secoli di vita greca (dall'ottavo avanti Cristo al decimo quinto dopo Cristo) o se si vuole escludere Alessandria e Bisanzio, i cinque secoli di vita greca (dall'ottavo al terzo avanti Cristo) sono contenuti in 28 volumi della edizione Didot, in qualche centinaio di statue (le copie romane non contano) e in poche architetture che vedono i viaggiatori della Grecia moderna.
   Di fronte a questi sta, incomparabilmente più vasto, più vario, più complicato, il sentimento e il pensiero nostro intorno alla Grecia. Chi si avvicina alle opere della letteratura e delle arti greche, alla sua storia e ai suoi sentimenti rimane colpito della inferiorità del reale al nostro ideale. La Grecia è una leggenda, leggenda fatta da noi moderni, che siamo quindi i veri creatori della Grecia, e per conseguenza i veri Greci, perchè sognare una cosa è esserla.
   Ma la leggenda Greca non è opera collettiva ed anonima; il popolo ne è restato estraneo e mentre collaborava alla leggenda medioevale, appena poche linee disegnava in quella Greca. La quale fu invece opera dei grandi individui, poeti, filosofi, artisti moderni.
   Quello che noi pensiamo della Grecia s'è venuto formando con un'opera successiva di scelta, di modificazione, di abbandono, di creazione. La parte mistica, e la parte geometrica dei Greci, questi due aspetti così importanti della loro anima, sono quasi dimenticati nella leggenda Greca: la quale ha ridotto tutti quei secoli di storia ad uno solo: il quinto; tutte quelle città a una sola: Atene; tutta l'anima Greca a una sola: l'Attica.
   Sulla Grecia si è esercitata la scelta. I primi filtri traverso cui è passata la Grecia sono gli Alessandrini e i Romani. Molte dimenticanze, molte classificazioni, molti giudizi li dobbiamo a loro; l'ammirazione per certi poeti e oratori «canonici» deriva dalla tedescheria erudita dei bibliotecari di Pergamo e d'Alessandria.
   Ma non solo si è trascurato, non veduto, gittato via, si è anche addirittura inventato. La storia del tipo di Ulisse è uno dei migliori insegnamenti pratici della leggenda Greca. In Omero Ulisse non è punto l'uomo moderno, che ama il viaggio per il viaggio, avventuriere curioso, per cui il rischio è una calamita, il cambiare un imperativo categorico, lo sperimento degli uomini e delle cose un sistema; Ulisse è invece un buon borghese che è molto disgraziato di trovarsi combattuto da Nettuno; che s'irrita pensando alla moglie insidiata, ed ai bei maiali che arrostiscono sullo spiedo per le bocche dei Proci; Calipso e Circe, sì, sono belle donne, ma Penelope è la moglie; sarà meno bella, ma è legittima. La piccola casetta borghese col ninnolo rococò sul canterano, e la scodella di zuppa domenicale sono preferibili ai manicaretti pepati delle demi-mondaines, alle loro ciprie e ai loro lisci. Ulisse è uomo morale, costumato e regolato.
   Lo si confronti col moderno Ulisse; questo somiglia molto più a Sindbad il Marinaio delle Mille e Una Notte, che viaggia perchè è nato per viaggiare, che torna ricco dai viaggi, ma si rimette ancora in mare e dopo un'avventura altre sei volte riapre le vele.
   Il vero creatore moderno (lo cogliamo sul vivo questo atto di creazione della leggenda Greca) è Dante. Tutti troppo conoscono quell'altissimo canto, perché sia utile tornarci sopra. Dopo Dante il carattere era trovato, e non vi furono alterazioni importanti, giacchè queste figure escite capaci di vita dal seno del poeta, vivono e si impongono e impediscono ad altri di plasmarle di nuovo. Tennyson e d'Annunzio e i cento altri che d'Ulisse hanno sognato, non hanno potuto che ripetere in fondo quello che Dante aveva lanciato nel mondo della poesia.
   Oltre alterare, buttare via, inventare, si è interpretato: e perchè si è interpretato, si è fatto moderno. Molte figure greche, sono oggi riempite di sentimenti modernissimi, infinitamente più di quello che un senso stretto della realtà dei testi non ce lo permetterebbe; così per Alcibiade (troppo somigliante a un Oscar Wilde che faccia il politico) o per Pericle (in cui si vede il mecenate quattrocentesco più che il capo della democrazia ateniese). E quante volte Plotino è tornato all'esistenza nei tempi moderni animato da sentimenti e da idee che gli venivano regalate e che di suo non avevan che il nome!
   Così lo splendido scrigno greco s'è venuto formando coi doni delle nostre pietre e con le sculture dei nostri orefici; e noi ora ci prostiamo dinanzi a lui come a un Dio, lo poniamo ad esempio, lo rimproveriamo ai piccoli uomini; ma come l'uomo un giorno si accorse d'avere creato Dio, e disse: Dio sono io; così oggi potremo dire: noi creammo la Grecia, i veri Greci siamo noi.
   Ecco dunque il progetto del mio lavoro: seguire la formazione della leggenda greca, da' primi suoi rudimentali organi modificati dagli alessandrini e dai romani, traverso il Medio Evo e Dante, poi gli Umanisti e il Seicento: ma sopratutto nei tempi moderni, cercando di riconoscere e di battezzare ogni lineamento che v'hanno lasciato Voltaire, e Nietzsche, Renan e Goethe, Swimburne e d'Annunzio, Víco e Lessing, Hoederlin e Gautier, gli eruditi tedeschi e gli esteti del Quartier Latino.
   Vorrei mostrare perché la Grecia più che ogni altra nazione e più che ogni altro tempo s'è prestata a fare la parte di «età dell'oro» degli intellettuali moderni; e quali figure abbiano tentato di diventare parte importante della leggenda, e non siano riuscite, pari ad ipotesi postulate per la felicità umana e non trovate adatte allo scopo, nè simpatiche agli animi. Fare insomma un lavoro di psicologia della leggenda, mostrando le facoltà finaliste, di scelta e di volontà, che possiede la psiche dell'uomo.


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